Una vita vissuta generosamente a fianco dei poveri del Sud Sudan

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Mazzolari

Nel grande libro della Missione con la «M» maiuscola, vi sono iscritti i nomi di uomini e di donne che hanno dato la vita per la causa del Regno in quelle che Papa Francesco ha definito pertinentemente le «periferie del mondo». Chi scrive ha avuto la grazia di conoscerne alcuni che hanno decisamente segnato la storia dell’evangelizzazione in terra africana. Emblematica è la figura di monsignor Cesare Mazzolari, compianto vescovo di Rumbek, diocesi nel cuore della tormentata regione sud sudanese del Bahr el Ghazal. Scomparso il mattino del 16 luglio 2011 per complicazioni cardiache, mentre stava celebrando la Santa Messa, è stato un autentico annunciatore e testimone della Buona Notizia.

Non è facile fare memoria del suo passato in quanto qualsiasi narrazione, per quanto attenta e scrupolosa nel cogliere i particolari, è sempre riduttiva rispetto al mistero di una vita vissuta generosamente a fianco dei poveri. Sono trascorsi nove anni dalla proclamazione d’indipendenza del Sud Sudan ed è bene ricordare che proprio mentre nasceva la 193° nazione del mondo, si spegneva monsignor Mazzolari — per 30 anni missionario in terra sud sudanese e per 12 anni vescovo di Rumbek — esattamente una settimana dopo la gioia per la libertà raggiunta dal «suo» popolo sud sudanese. «Non chiudete la vostra mano, mente o cuore al popolo nascente e sfidato del Sud Sudan. Assieme possiamo sviluppare il paese e la vita del nostro villaggio globale con l’Italia e l’Africa in stretta di mano», scriveva padre Cesare (l’ho sempre chiamato così: per me era un padre e un amico) la sera prima della sua morte, quasi ad incoraggiare tutti noi a portare avanti la sua missione in quel giovane paese, fragile e bisognoso di tutto.

Nato a Brescia il 9 febbraio del 1937, apparteneva alla congregazione dei missionari comboniani. Ordinato sacerdote a San Diego in California (Stati Uniti) il 17 marzo 1962, svolse i primi anni di ministero a Cincinnati nell’Ohio, in una comunità pastoralmente attenta ai bisogni delle popolazioni afro e latinoamericane. Nel 1981 giunse in Sudan dove operò prima nella diocesi di Tombura-Yambio, successivamente nell’arcidiocesi di Juba dove ricoprì l’incarico di superiore provinciale dei comboniani allora presenti nel Sudan meridionale. Nel 1990 monsignor Mazzolari venne nominato da Giovanni Paolo II amministratore apostolico della diocesi di Rumbek. Erano anni di guerra tra il Nord e il Sud Sudan e la popolazione locale subiva pene indicibili. In quelle circostanze si adoperò instancabilmente in un’attività pastorale protesa a soddisfare le necessità spirituali e materiali di una moltitudine di bisognosi. Nel 1991 riaprì coraggiosamente la missione di Yirol, nonostante infuriassero i combattimenti tra le forze governative e quelle ribelli. E sebbene nell’aprile dello stesso anno fosse costretto ad abbandonare il presidio missionario sotto l’incalzare delle forze governative, non perse mai la speranza. Il destino volle che l’autore di questa breve rievocazione della sua appassionata vita missionaria, fosse proprio lì con lui, come cronista e confratello, in quei frangenti così penosi. Basti pensare che si poteva raggiungere la missione di Yirol dal confine keniano solo sorvolando per due ore e mezzo lo spazio aereo a bassa quota, per evitare d’essere intercettati dall’aviazione governativa sudanese. Il rischio di perdere la vita in un contesto così conflittuale era quotidiano.

Nel 1994, monsignor Mazzolari venne catturato e tenuto in ostaggio per 24 ore dai ribelli dello Spla (Esercito di Liberazione Popolare del Sudan), gruppo armato indipendentista allora in lotta contro il governo di Khartoum. Il 6 gennaio 1999 venne ordinato vescovo da Papa Giovanni Paolo II, co-consacranti il cardinale Giovanni Battista Re e l’arcivescovo Francesco Monterisi. La presenza di monsignor Mazzolari a fianco di un popolo così vergognosamente umiliato e schiacciato nella propria dignità ha sempre rappresentato un segno di straordinaria speranza per la Chiesa sudanese.

Nel corso dei suoi numerosissimi viaggi in Italia si prodigò sempre nel «dare voce ai senza voce», ottenendo una forte risonanza nell’opinione pubblica. A tutti chiese sempre l’impegno a «non dimenticare perché la gente del Sud Sudan ha bisogno di una pace giusta nel rispetto dei diritti umani». A Rumbek sorge la cattedrale della Sacra Famiglia, costruita e distrutta a più riprese durante la sanguinosa guerra civile. Circondata da una corona di maestosi alberi di frangipane, è stato il «fortino di Dio» dal quale il vescovo Cesare dimostrò d’essere messaggero di pace. Una missione che testimoniò fino all’ultimo, con la sua presenza, durante la cerimonia d’indipendenza della nuova Repubblica Sud Sudanese a Juba l’11 luglio del 2011.

Sappiamo tutti quanto le sorti di questo paese — il 54° ad essere nato nella scala cronologica — siano a cuore di Papa Francesco, unitamente al suo desiderio di visitarlo. Dopo l’indipendenza, infatti, si sono manifestate delle divisioni interne alla leadership che avrebbe dovuto governare la nazione, degenerate poi nell’ennesimo conflitto armato. Come molti dei nostri lettori ricorderanno, lo scorso dicembre, in occasione del Natale e dell’inizio dell’anno nuovo, in una missiva firmata con il primate anglicano Justin Welby e il reverendo John Chalmers, già moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, il Pontefice inviò un messaggio congiunto ai leader politici del Sud Sudan, assicurando la loro vicinanza «ai vostri sforzi per l’attuazione sollecita degli Accordi di pace».

Il cammino è naturalmente ancora lungo e impegnativo, come ha ricordato la Caritas italiana in un dossier pubblicato in questi giorni, anche in considerazione dell’arrivo dell’infezione da coronavirus. «Se il paese, infatti, vuole avere futuro — si legge nel dossier — occorre un impegno comune verso i seguenti obiettivi: formazione e riconciliazione a livello politico, militare e comunitario; trasparenza nella gestione delle risorse naturali e lotta alla corruzione; coerenza delle politiche e approccio integrato tra risposta umanitaria, riabilitazione, sviluppo e pace; investimenti efficaci in infrastrutture e servizi primari, priorità a giovani e donne come attori di cambiamento». Tutte sfide già enunciate da monsignor Mazzolari che, tornando alla Casa del Padre, ha passato il testimone alla Chiesa sud sudanese perché continui a farsi interprete delle istanze di pace e riconciliazione del suo popolo.